vendredi 22 novembre 2013

Il lato oscuro di Louvain 1

Anche Louvain la Neuve ha il suo lato oscuro, anche se a prima vista sembrerebbe essere una piccola ridente cittadina del nord Europa, nella quale lo stato sociale funziona e i politici sono vicini alla gente, e naturalmente gli abitanti si vogliono tremendamente bene.

OUBBLIE', OUBBLIE', anche Louvain sa essere matrigna!

E' il caso dei battesimi, detti anche baptème, per loro una sorta di costume nazionale, una tradizione studentesca da mantenere, anche se ogni tanto qualcuno ci tira le cuoie.

Dei battesimi non è difficile accorgersi.

Dopo qualche giorno che mi trovavo qui, iniziai ad osservare strane scene, storie pese. Non capivo perché alcuni ragazzi si mettevano ad urlare e violentemente contro altri. Gli strilloni avevano tutti immancabilmente un cappellino nero con i bordi alti, a cui sono attaccate un'infinita di spille, all'opposto le persone sgridate si trovavano solitamente in posizioni strane.

Fu cosi che capii l'esistenza dei battesimi, riti di iniziazione volontaria, sottolineamolo, necessari per entrare a far parte dei circoli di studenti di ciscuna facoltà, un mezzo che permette di entrere in un gruppo di amici, partecipare a molte attività di divertimento o di studio. Ma per entrarci.....



Gente per terra costretta a strisciare sul fango, gente costretta a bere pipi, a leccare in terra, a camminare per un isolato in punta di piedi o sulle ginocchia, a mangiare pesci vivi infilandoli direttamente in bocca, e poi a bere bere bere, tanto che una ragazza a Liegi, che pur aveva ottenuto di bere acqua e non birra per la sua iniziazione, ne ha bevuta talmente tanta che è deceduta dopo il coma. Da qui una polemica internazionale che ha visto coinvolto il primo ministro Di Rupo che ha ricevuto una lettera da parte di Segolene Royale (quella povera donna che non solo fu sconfitta da Sarkozy alle presidenziali del 2007, ma quando suo marito, Hollande, è divenuto presidente essi non stavano più insieme, che sfiga!). Lei quando fu ministro dell'educazione in Francia i battesimi li proibi, Di rupo, considerando la fortuna di Segolene, ha risposto che una legge per regolarli esiste già e non c'è alcun bisogno di vietarli.


Ma loro sono felici, i battesimandi dico, ed è un punto d'onore riuscire a entrare in un cercle, dopo avere superato tutte le prove. 
E fieri portano i loro cappellini neri e i loro camici con scritte e firme e oggetti attaccati, che da bianchi col tempo divengono marroni scuri, per la birra il fango e altro, ma loro ne sono fieri, più sono sporchi, più imprese vi sono testimoniate.





mardi 19 novembre 2013

une aventure à la belgique: scale bicipiti e tibet

Le scale, c'é chi le scende, chi le sale....... chi le salta a piè pari finendo dolorante in fondo alla rampa.
Louvain la Neuve è piena di scale, una città  che sembra uscita da un disegno di Escher, ed è sorpendente perché uno pensa al balgio come una grande distesa paineggiante, alla fine della quale si estendono le Ardenne, ma qui per contro sembra di camminarci sopra a quei rilievi montuosi ormai inusabili.

Louvain è piena di scale, a partire da quelle del proprio condominio. Nel mio caso, vecchie repite, sono di un cotto scuro, il limine sbeccato dalle suolate che hanno ricevuto nel corso degli anni dalla gente del sud del mondo che abita il mio condominio ( riservato per l'appunto a coloro che vengono dal sud del mondo, fenomeno che io tutte le volte racconto con  il trasporto degno delle storie le più esotiche, anche perché io, in quanto italiano non dovrei fare parte del sud del mondo, o no?).

Sempre ben presenti, è da ieri che ho realizzato la loro invadenza, si: l'invadenza delle rampe; proprio ieri, quando nella foga di arrivare dall'informatico, tra le braccia il computer non più funzionante a seguito di una caduta, anch'io scivolai.....Rialzatomi in men che non si dica, dopo una caduta che ancora mi lascia le terga doloranti, mi resi conto che avrei dovuto superare il trauma di scendere altre scale molto in fretta, perché fuori casa intere via sono scalinate.

Rue de l'Hocaille (dal basso, aundo la devi ancora salire!)
Il sogno proibito di Escher, Louvain la Neuve, una città a scale intricata come i suoi disegni; ad ogni modo, Rue de l'Hocaille, la via più breve per andare in centro da casa mia (e io avevo fretta perché non volevo arrivare troppo in ritardo a francese) era li, in fronte a me e  ho iniziato a pensare a chi, desolato,  ha preso a noleggio una bicicletta e passa per una via secondaria, a coloro che invocano una funivia, a i monaci tibetani che  sono gli unici che l'apprezzerebbero, perché effettivamente a salirla sembra di ripercorrere un viaggio verso un tempio tibetano ( ma senza Brad Pitt). Comunque, io avevo nient'altro che i piedi e le gambe doloranti che sotto lo sofrzo di un'andatura veloce, sembravano simulare il movimento del furgone di gaspare e orazio nella carica dei 101.

Naturlamente, terminata la rampa più grande, vi sono le più piccole quelle che dalla piazza ti permettono di rimontare sul piano: è tutto un sali scendi, un paese di scale (ed anche di salite e discese ripidosamente ostili). Ci sono le rampe di discesa intorno al lago che a tratti sono pari e poi riprendono la loro pendenza vertiginosa, buone per lo snowboard. Ci sono gli scalini bui e ricoperti di foglie dietro Place de Wallon, quelli sempre umidicci e scivolosi di Grand Place. Le rampe tibetane, quelle si, che dai binari della stazione ti riconducono al piano terra che è sopraelevato, si consigliano per i bicipiti con una carico di valigie, che se non ti interessano i muscoli te li fai comunaue.

Poi ci sono le rampe interne: scale a chiocciola per montare i piani in appartamenti da 10 persone e che con una culata rischi di tirarle in terra. Scale apribili per montare stul tetto. Scale scivolose e colorate di rosso, perché tu faccia attenzione. Scale scale scale, ricoperte di mloquette coi gradini lunghissimi che ti puoi mettere a braccia aperte e non tocchi le pareti.....ma manca il corrimano.

Insomma, "Mind the gap"



Relativity, M. C. Escher, litografia, 1953



















































dimanche 17 novembre 2013

à coté du lac 2: la ripresa e un'apparenza che inganna

Finalmente mi sono deciso a riprendere in mano 'sto blog, forse perché mi sono reso conto che abbandonandolo a sé stesso così precocemente gli avrei negato quel successo che si meriterebbe. Dunque ho deciso di rispolverarlo, di tirarlo fuori dal cassetto....o meglio, dato che non è un libro, e che polvere, dio voglia (chiamatelo con qualsiasi nome), qui sopra non ce ne viene e quindi non va pulita, ho deciso di riaccenderlo, di....(sarà necessario trovare una semantica del blog, prima o poi. Dato che, più o meno, ha la stessa funzione e presuppone lo stessa fruizione di un libro, beh prima o poi, se mai diventerà un mezzo ufficiale, andranno coniate parole che descrivano l'utilizzo, la manutenzione, la creazione di un blog, senza confonderle con quelle dei libri (ps. se ne avete suggeritemele)).

Oggi voglio parlarvi del lago, che non è più lo stesso di quando sono arrivato, completamente verde per la vegetazione, e le acque, appena increspate, azzurre per il cielo che vi si specchiava. Oggi il lago è grigio, l'acqua scura è divenuta torbida, come quel cielo che lì si riguarda tutti i santi giorni, un cielo che a volte sembra impacchettato nella carta stagnola, un cielo da presepe, disteso facendo attenzione che non si formino rughe sull'alluminio. E così è qua, liscio, di velluto per le nuvole e scuro.

Ma torniamo al lago, in questi giorni più che all'arrivo, il lago è malinconico, che non vuol dire triste, ma è calmo incline ai ricordi, realista, intimo. Sì, questa caterva di aggettivi, sintomo forse di velleità dilettantistiche dell'autore, sono quelli che meglio descrivono l'ambiente che ho visto, un ambiente nel quale i ricordi tornano alla mente, ricordi s'intende non di una lunga vita, ma delle persone che non sono qui; è possibile abbozzare dei sorrisi, tornano quelle rabbie che non si dimenticano anche per piccolezze, ma d'altronde niente può essere scordato (a parer mio).

E' come se il lago fosse capace di movimentare il sedimento in fondo a sé stessi, il fango (nella situazione ciò che è passato o ciò su cui si riflette, ma non ciò che è solamente negativo), e ciò fornisce l'input a riflessioni molto più generali in confronto alle quali il presente è piccolo, e la memoria personale diviene riflessione su quella collettiva, come se la memoria fosse in grado, per la sua varietà e copertura temporale, di collegarci ad una dimensione umana più ampia, una realtà di cui noi siamo parte.

Passeggiando, mi hanno colpito gli acquitrini e l'acqua putrida intorno ai cespugli di biodolo, una pianta acquatica.Una visione così decadente, che trovo molto bella e che mi ha ricordato una piccola poesia di D'Annunzio.


                       Nella belletta

    Nella belletta i giunchi hanno l'odore 
        delle persiche mézze e delle rose 

       passe, del miele guasto e della morte. 
            Or tutta la palude è come un fiore 
5     lutulento che il sol d'agosto cuoce, 
       con non so che dolcigna afa di morte. 
            Ammutisce la rana, se m'appresso. 
       Le bolle d'aria salgono in silenzio.          (G. D'Annunzio, Alcyone, Laudi)


(Avvertenza a quei lettori che saranno arrivati fino a questo punto: la prossima volta l'argomento sarà leggero!)

mercredi 6 novembre 2013

ritornando in belgio: una riflessione sui treni

Viaggiare in Belgio è piuttosto comodo, non solo perché è un paese piccolo, ma anche  perché è dotato di una rete ferroviaria con la quale è possibile, da Bruxelles, raggiungere qualsiasi altra città della nazione in un'ora.
Certo non è il caso di Louvain la Neuve, da dove è possibile raggiungere qualsiasi altro posto in due ore, a parte Bruxelles che dista 40 minuti; notare i lunghi tempi d'attesa per spostarsi da qui mi ha fatto capire che probabilmente la categoria degli studenti, soprattutto se pendolari, è intrinsecamente sfigata, dovunque.

Le stazioni ferroviarie hanno scandito il mio soggiorno qui. A partire da quella di Bruxelles - Midi, la più grande della città, la più dispersiva e intimorente per un povero ragazzo di provincia, coi suoi androni infiniti scanditi dai cartelli indicanti il numero dei binari. Cifre che salgono continuamente e più aumentano i metri, centinaia, percorsi, con il rumore delle rotelline del trolleys che rimbomba nelle orecchie.
E quando li percorri nel senso opposto verso il binario 1, quei corridoi sembrano non finire mai e fanno montare un'impazienza di arrivare, ma prima del tuo binario ce ne è sempre un altro.


Niente a che vedere con la stazione di Anversa. Beh, quella rimanda al presente glorioso delle Fiandre e
della città che si può permettere un gioiellino di urbanistica pulito e ristrutturato, seppure le grandi dimensioni; l'edificio, a vedere la grande vetrata interna semicircolare in vetro e ferro battuto, dovrebbe risalire alla fine dell'ottocento, inizio novecento. Una stazione che colpisce per i marmi di cui è rivestita. Anversa è sempre stata una città ricca per il suo porto e la lavorazione dei diamanti, e quella è la stazione che gli si confà.

Stazioni e treni e ferrovie, d'altronde, hanno marcato e premesso lo sviluppo economico del Belgio. La prima linea ferroviaria sul continente fu costruita in Belgio nella seconda metà degli anni '30 per volere di Re Leopoldo (il primo re dei belgi).

Infine la stazione di Louvain - la - Neuve che è anonima assai, e pure scomoda soprattutto quando la vidi la prima volta e con due valigie, di cui solo una, ahimè, era un bagaglio a mano! Perché la stazione è dotata di due grandi rampe di scale che dai binari portano a livello della città. Queste scale, classiche, nel senso che non sono mobili, sembrano quelle di un tempio indiano, peccato che arrivato in cima non si raggiunge lo zen, ma semplicemente iniziò, quel giorno, la ricerca folle per un appartamento e i tentativi ufficiali erasmus per parlare francese.

Piccolo treno belga arancione (dentro è mandarino acceso)
Sta storia dei treni, che sto allungando parecchio, nasce da un sentimento di affetto verso i treni belgi,minuti puliti e arancioni, verso i controllori sempre gentili coi loro cappellini grigi e arancioni che li fanno assomigliare a dei personaggi di Tin Tin, e sopratutto verso i ritardi.
Perché il treno che presi la prima mattina e che da Bruxelles mi portò a Louvain la Neuve era in ritardo e così quasi tutti quelli che mi è capitato, abbastanza spesso, di prendere. Ritardi che, senza paura, sono scritti in rosso e a caratteri cubitali sui tabelloni lungo i binari, ritardi che non sono mai banali perché sono decine di minuti che fanno perdere le coincidenze con altri treni, altre persone, addirittura aerei. Ritardi che fin dalla prima volta mi rassicurarono, resero il Belgio meno estraneo e più simile all'Italia, meno rigoroso e un po' più dialogante che il resto del nord europa. Quei ritardi che mi fecero sorridere, si presentarono sicuri come a casa, ma lontani centinaia di chilometri da là, riferimento indelebile a momenti precedenti che lo spazio aveva allontanato. Risi quel giorno e ancora e oggi stesso, quando i ritardi, a loro modo, mi hanno accolto alla stazione....
Alla stazione di Ottignies