mardi 19 novembre 2013

une aventure à la belgique: scale bicipiti e tibet

Le scale, c'é chi le scende, chi le sale....... chi le salta a piè pari finendo dolorante in fondo alla rampa.
Louvain la Neuve è piena di scale, una città  che sembra uscita da un disegno di Escher, ed è sorpendente perché uno pensa al balgio come una grande distesa paineggiante, alla fine della quale si estendono le Ardenne, ma qui per contro sembra di camminarci sopra a quei rilievi montuosi ormai inusabili.

Louvain è piena di scale, a partire da quelle del proprio condominio. Nel mio caso, vecchie repite, sono di un cotto scuro, il limine sbeccato dalle suolate che hanno ricevuto nel corso degli anni dalla gente del sud del mondo che abita il mio condominio ( riservato per l'appunto a coloro che vengono dal sud del mondo, fenomeno che io tutte le volte racconto con  il trasporto degno delle storie le più esotiche, anche perché io, in quanto italiano non dovrei fare parte del sud del mondo, o no?).

Sempre ben presenti, è da ieri che ho realizzato la loro invadenza, si: l'invadenza delle rampe; proprio ieri, quando nella foga di arrivare dall'informatico, tra le braccia il computer non più funzionante a seguito di una caduta, anch'io scivolai.....Rialzatomi in men che non si dica, dopo una caduta che ancora mi lascia le terga doloranti, mi resi conto che avrei dovuto superare il trauma di scendere altre scale molto in fretta, perché fuori casa intere via sono scalinate.

Rue de l'Hocaille (dal basso, aundo la devi ancora salire!)
Il sogno proibito di Escher, Louvain la Neuve, una città a scale intricata come i suoi disegni; ad ogni modo, Rue de l'Hocaille, la via più breve per andare in centro da casa mia (e io avevo fretta perché non volevo arrivare troppo in ritardo a francese) era li, in fronte a me e  ho iniziato a pensare a chi, desolato,  ha preso a noleggio una bicicletta e passa per una via secondaria, a coloro che invocano una funivia, a i monaci tibetani che  sono gli unici che l'apprezzerebbero, perché effettivamente a salirla sembra di ripercorrere un viaggio verso un tempio tibetano ( ma senza Brad Pitt). Comunque, io avevo nient'altro che i piedi e le gambe doloranti che sotto lo sofrzo di un'andatura veloce, sembravano simulare il movimento del furgone di gaspare e orazio nella carica dei 101.

Naturlamente, terminata la rampa più grande, vi sono le più piccole quelle che dalla piazza ti permettono di rimontare sul piano: è tutto un sali scendi, un paese di scale (ed anche di salite e discese ripidosamente ostili). Ci sono le rampe di discesa intorno al lago che a tratti sono pari e poi riprendono la loro pendenza vertiginosa, buone per lo snowboard. Ci sono gli scalini bui e ricoperti di foglie dietro Place de Wallon, quelli sempre umidicci e scivolosi di Grand Place. Le rampe tibetane, quelle si, che dai binari della stazione ti riconducono al piano terra che è sopraelevato, si consigliano per i bicipiti con una carico di valigie, che se non ti interessano i muscoli te li fai comunaue.

Poi ci sono le rampe interne: scale a chiocciola per montare i piani in appartamenti da 10 persone e che con una culata rischi di tirarle in terra. Scale apribili per montare stul tetto. Scale scivolose e colorate di rosso, perché tu faccia attenzione. Scale scale scale, ricoperte di mloquette coi gradini lunghissimi che ti puoi mettere a braccia aperte e non tocchi le pareti.....ma manca il corrimano.

Insomma, "Mind the gap"



Relativity, M. C. Escher, litografia, 1953



















































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