dimanche 8 décembre 2013

VIVE LE ROI! (si consiglia la visione ad un solo pubblico reazionario)

Non sono i Windsor, reali per antonomasia, ne' i Borbone di Spagna con tutto il corrimi dietro di antenati illustri, ma anche il Belgio ha i suoi reali, la famiglia reale "Des Belges".

da sx a dx: il fratello del Re Filippo e la moglie, la regina madre Fabiola, la Regina Matilde e il Re Filippo,
 il padre di Filippo re Alberto e la consorte la regina Paola, la sorella di Filippo e il consorte.
In primo piano i figli di Filippo e Matilde.

Discendenti da una famiglia principesca tedesca, i Saxo Coburgo Gotha, furono chiamati a regnare sul Belgio neocostituito nel 1830, quando il parlamento offri' la corona a quello che sarebbe divenuto il primo re, Leopoldo di Saxo Coburgo Gotha. Re, quelli del Belgio, che incoronati dall'assemblea parlamentare, hanno dovuto accettare la costituzione liberale e rinunciare ai simboli classici del potere: corona, scettro e mantello (manco questo gli hanno lascaito)!
Attenzione, con la prima guerra mondiale e il montare del sentimento antitedesco, il re Alberto decise di cambiare nome alla dinastia (come accadde in Inghilterra. Infatti Leopoldo I del Belgio non era altro che lo zio di Alberto d'Inghilterra, il marito della regina Vittoria. Suddetto coniuge, dette il suo nome, Saxo coburgo Gotha, a tutta la discendenza, finche' non fu cambiato in Windsor)

Inizia il gossip, e partiamo dalla  regina Fabiola. Ella, nobildonna spagnola, sposo' nel 1960 il re Baldovino I dei Belgi, quando nessuno ormai lo credeva possibile, essendo molti i sospeti che egli avesse piu' volte manifestato una vocazione religiosa. I loro primi incontri furono tenuti segreti e quando fu ufficializzato il fidanzamento ci fu grande stupore. Purtroppo pero', la coppia reale che tanto faceva sognare, giovane in un Belgio di nuovo col vento in poppa, non ebbe mai un erede. Quattro le gravidanze con esito infausto, che fecero convicnere Baldovino ad investire le sue nergie nella formazione di suo nipote, Filippo, il figlio di suo fratello. 

Morto Baldovino nel 1993, un re ricordato per la sua sobrieta' e la sua religiosita' (si pensi che non volendo firmare una legge che rendesse piu facile l'aborto, il parlamento dovette dichiarare la sua temporanea incapacita', e quindi approvarla grazie ai poteri speciali che la situazione gli conferiva), e' il turno di Alberto suo fratello. Questi, col nome di Alberto II, ha regnato dal 1993 fino al 21 luglio 2013, giorno in cui ha abdicato in favore di suo figlio. Sua moglie e' Paola Ruffo di Calabria, nobildonna italiana, il cui casato discende dalla gens Cornelia, quella di Silla. Il loro matrimonio fu molto chiaccherato negli anni '60 per lo stile libertino di lei e le intemperanze di lui, ma in fondo sono stati molto aprrezzati!


Dal 21 luglio, il re e' Filippo, sua moglia si chiama Matilde ed e' un'esponente dell'alta aristocrazia belga. Sono sposati dal 1999, hanno 4 figli, di cui la primogenita, Elisabetta, diventera' probabilmente la prima regina (di diritto e non per matrimonio) del Belgio. 
Qui erano a Bruxelles in grand place, in bici. 
Per la prima visita di stato, in Olanda, hanno utilizzato un treno di linea, e non ad alta velocita', perche' considerato troppo costoso.....

samedi 7 décembre 2013

vie quotidienne des etudiantes: les courses (la spesa), c'est a dire "de corsa"

(Perdonate eventuali refusi, e la mancanza di accenti che per il verbo essere sono essenziali, ma la tastiera del pc spagnolo che mi e' stato gentilmente presato, non e' provvista di alcuna vocale accentata. Ah gli spagnoli, loro l'enfasi la mettono in altri modi!)

Nei complicati meadri della vita studentesca qui a Louvain la Neuve, tra i quali c'e' il blocus, cioe' il periodo di studio prima degli esami (una sorta di girone dell'inferno in terra), ci si mette anche la vita quotidiana a dar man forte, tra lavatrici, asciugatrici (perche qui il sole non c'e' e manco i fili dei panni) e la spesa, santiddio, la spesa. Non so se ho mai raccanotanto come sia possibile andare a fare la spesa. Lo faccio.

Vi sono in questa ridente cittadina del Belgio, ben quattro dicasi quatro supermercati o mminimarket, senza contare qualchedun'altro arso nel reticolo di stradine curve e tutte uguali. Di questi quattro, tre sono quelli vicini a casa mia e alla maggioranza delle persone sono cari assaettati; naturalmente si parla del delhaize, una sorta di esseleunga, che sta in centro, dove tu passi tutti i giorni, di un altro cosetto in place de wallon che a parte  un po' di carteigienica, vende soltanto patatine e dolciumi (dev'essere il paese dei balocchi questo), e di un altro ancora che per tutti noi che viviamo in zona piscina, e' il solo vicino, come il solo a farti pagare un pacchetto di patatine da mezzo kilo 2 euro (patatine di sottomarca).

Premmeso cio, e' chiaro che se si vuole fare una spesa decente, non rimane che il quarto di codesti summenzionati, l'Aldi, e lo scrivo con la lettera maiuscula, perche' esso, oltre ad essere economico e quindi un salvagente per gli studenti, specialmente quelli che vengono dal povero sud europa (lacrime, lacrime!), e' lontano da tutto. L'Aldi, si trova infatti al di la del lago, al di la di due ponti, ai confini sud orientali (?) di louvain la neuve, dopo di lui, il Belgio finalmente, Wavre e di nuovo macchine nelle strade, in un ambiente che rassomiglia a quello di un paese occiendtale, e non ad un piccolo borgo della svizzera tedesca. 
E' un amore-odio quello con l'Aldi (ah, si pronuncia alla francese con l'accento sull'ultima, non come il plurale di Aldo) perche' se da un lato esso rappresenta un'isola felice in una terra dove il costo della vita e' troppo alto, dall'altro e' una sorta di terra promessa, data la fatica per arrivarci. 

Ricordo ancora la volta che con un carrello, ciullato da dove non si sa che noi a nostra volta avevamo preso gentilmente da un condominio di amici, siamo andati a fare la spesa all'Aldi. Giu' con quelle ruote matte per le grandi discese di Louvain, ripide che una macchiana scivolerebbe con il freno a mano tirato, e poi la strettoia, curva, che porta al lago attraverso un sottopassaggio (vi lascio immaginare che all'andata gia si cercava di capire come si poteva tornare indietro, col carrello pieno). Poi il lago che placido ci accoglie, ma poi di nuovo discese e salite e l'attraversamento di una rotonda posta su una curva (anche qui hanno qualche problema di organizzazione del terriotorio?). Ed eccolo, il castello di camelot, l'insegna non cavalleresca, un quadrato azzuro con scritto Aldi in bianco. 



Usciti, il carrello pieno, le ruote pazze pronte a sbizzarrirsi, e noi in tre, toreri de noialtri, a regge (come si dice in toscana) un carrello impazzito, chi da davanti chi da dietro, chi in salita lo spinge appoggiandovisi con la schiena, chi in discesa e' retto dalgi altri perche il carrello non lo trascini via....sudati, bagnati (qui piove sempre), col fiatone si rientra, in casa.

Ma la dispensa e' di nuovo piena!

vendredi 22 novembre 2013

Il lato oscuro di Louvain 1

Anche Louvain la Neuve ha il suo lato oscuro, anche se a prima vista sembrerebbe essere una piccola ridente cittadina del nord Europa, nella quale lo stato sociale funziona e i politici sono vicini alla gente, e naturalmente gli abitanti si vogliono tremendamente bene.

OUBBLIE', OUBBLIE', anche Louvain sa essere matrigna!

E' il caso dei battesimi, detti anche baptème, per loro una sorta di costume nazionale, una tradizione studentesca da mantenere, anche se ogni tanto qualcuno ci tira le cuoie.

Dei battesimi non è difficile accorgersi.

Dopo qualche giorno che mi trovavo qui, iniziai ad osservare strane scene, storie pese. Non capivo perché alcuni ragazzi si mettevano ad urlare e violentemente contro altri. Gli strilloni avevano tutti immancabilmente un cappellino nero con i bordi alti, a cui sono attaccate un'infinita di spille, all'opposto le persone sgridate si trovavano solitamente in posizioni strane.

Fu cosi che capii l'esistenza dei battesimi, riti di iniziazione volontaria, sottolineamolo, necessari per entrare a far parte dei circoli di studenti di ciscuna facoltà, un mezzo che permette di entrere in un gruppo di amici, partecipare a molte attività di divertimento o di studio. Ma per entrarci.....



Gente per terra costretta a strisciare sul fango, gente costretta a bere pipi, a leccare in terra, a camminare per un isolato in punta di piedi o sulle ginocchia, a mangiare pesci vivi infilandoli direttamente in bocca, e poi a bere bere bere, tanto che una ragazza a Liegi, che pur aveva ottenuto di bere acqua e non birra per la sua iniziazione, ne ha bevuta talmente tanta che è deceduta dopo il coma. Da qui una polemica internazionale che ha visto coinvolto il primo ministro Di Rupo che ha ricevuto una lettera da parte di Segolene Royale (quella povera donna che non solo fu sconfitta da Sarkozy alle presidenziali del 2007, ma quando suo marito, Hollande, è divenuto presidente essi non stavano più insieme, che sfiga!). Lei quando fu ministro dell'educazione in Francia i battesimi li proibi, Di rupo, considerando la fortuna di Segolene, ha risposto che una legge per regolarli esiste già e non c'è alcun bisogno di vietarli.


Ma loro sono felici, i battesimandi dico, ed è un punto d'onore riuscire a entrare in un cercle, dopo avere superato tutte le prove. 
E fieri portano i loro cappellini neri e i loro camici con scritte e firme e oggetti attaccati, che da bianchi col tempo divengono marroni scuri, per la birra il fango e altro, ma loro ne sono fieri, più sono sporchi, più imprese vi sono testimoniate.





mardi 19 novembre 2013

une aventure à la belgique: scale bicipiti e tibet

Le scale, c'é chi le scende, chi le sale....... chi le salta a piè pari finendo dolorante in fondo alla rampa.
Louvain la Neuve è piena di scale, una città  che sembra uscita da un disegno di Escher, ed è sorpendente perché uno pensa al balgio come una grande distesa paineggiante, alla fine della quale si estendono le Ardenne, ma qui per contro sembra di camminarci sopra a quei rilievi montuosi ormai inusabili.

Louvain è piena di scale, a partire da quelle del proprio condominio. Nel mio caso, vecchie repite, sono di un cotto scuro, il limine sbeccato dalle suolate che hanno ricevuto nel corso degli anni dalla gente del sud del mondo che abita il mio condominio ( riservato per l'appunto a coloro che vengono dal sud del mondo, fenomeno che io tutte le volte racconto con  il trasporto degno delle storie le più esotiche, anche perché io, in quanto italiano non dovrei fare parte del sud del mondo, o no?).

Sempre ben presenti, è da ieri che ho realizzato la loro invadenza, si: l'invadenza delle rampe; proprio ieri, quando nella foga di arrivare dall'informatico, tra le braccia il computer non più funzionante a seguito di una caduta, anch'io scivolai.....Rialzatomi in men che non si dica, dopo una caduta che ancora mi lascia le terga doloranti, mi resi conto che avrei dovuto superare il trauma di scendere altre scale molto in fretta, perché fuori casa intere via sono scalinate.

Rue de l'Hocaille (dal basso, aundo la devi ancora salire!)
Il sogno proibito di Escher, Louvain la Neuve, una città a scale intricata come i suoi disegni; ad ogni modo, Rue de l'Hocaille, la via più breve per andare in centro da casa mia (e io avevo fretta perché non volevo arrivare troppo in ritardo a francese) era li, in fronte a me e  ho iniziato a pensare a chi, desolato,  ha preso a noleggio una bicicletta e passa per una via secondaria, a coloro che invocano una funivia, a i monaci tibetani che  sono gli unici che l'apprezzerebbero, perché effettivamente a salirla sembra di ripercorrere un viaggio verso un tempio tibetano ( ma senza Brad Pitt). Comunque, io avevo nient'altro che i piedi e le gambe doloranti che sotto lo sofrzo di un'andatura veloce, sembravano simulare il movimento del furgone di gaspare e orazio nella carica dei 101.

Naturlamente, terminata la rampa più grande, vi sono le più piccole quelle che dalla piazza ti permettono di rimontare sul piano: è tutto un sali scendi, un paese di scale (ed anche di salite e discese ripidosamente ostili). Ci sono le rampe di discesa intorno al lago che a tratti sono pari e poi riprendono la loro pendenza vertiginosa, buone per lo snowboard. Ci sono gli scalini bui e ricoperti di foglie dietro Place de Wallon, quelli sempre umidicci e scivolosi di Grand Place. Le rampe tibetane, quelle si, che dai binari della stazione ti riconducono al piano terra che è sopraelevato, si consigliano per i bicipiti con una carico di valigie, che se non ti interessano i muscoli te li fai comunaue.

Poi ci sono le rampe interne: scale a chiocciola per montare i piani in appartamenti da 10 persone e che con una culata rischi di tirarle in terra. Scale apribili per montare stul tetto. Scale scivolose e colorate di rosso, perché tu faccia attenzione. Scale scale scale, ricoperte di mloquette coi gradini lunghissimi che ti puoi mettere a braccia aperte e non tocchi le pareti.....ma manca il corrimano.

Insomma, "Mind the gap"



Relativity, M. C. Escher, litografia, 1953



















































dimanche 17 novembre 2013

à coté du lac 2: la ripresa e un'apparenza che inganna

Finalmente mi sono deciso a riprendere in mano 'sto blog, forse perché mi sono reso conto che abbandonandolo a sé stesso così precocemente gli avrei negato quel successo che si meriterebbe. Dunque ho deciso di rispolverarlo, di tirarlo fuori dal cassetto....o meglio, dato che non è un libro, e che polvere, dio voglia (chiamatelo con qualsiasi nome), qui sopra non ce ne viene e quindi non va pulita, ho deciso di riaccenderlo, di....(sarà necessario trovare una semantica del blog, prima o poi. Dato che, più o meno, ha la stessa funzione e presuppone lo stessa fruizione di un libro, beh prima o poi, se mai diventerà un mezzo ufficiale, andranno coniate parole che descrivano l'utilizzo, la manutenzione, la creazione di un blog, senza confonderle con quelle dei libri (ps. se ne avete suggeritemele)).

Oggi voglio parlarvi del lago, che non è più lo stesso di quando sono arrivato, completamente verde per la vegetazione, e le acque, appena increspate, azzurre per il cielo che vi si specchiava. Oggi il lago è grigio, l'acqua scura è divenuta torbida, come quel cielo che lì si riguarda tutti i santi giorni, un cielo che a volte sembra impacchettato nella carta stagnola, un cielo da presepe, disteso facendo attenzione che non si formino rughe sull'alluminio. E così è qua, liscio, di velluto per le nuvole e scuro.

Ma torniamo al lago, in questi giorni più che all'arrivo, il lago è malinconico, che non vuol dire triste, ma è calmo incline ai ricordi, realista, intimo. Sì, questa caterva di aggettivi, sintomo forse di velleità dilettantistiche dell'autore, sono quelli che meglio descrivono l'ambiente che ho visto, un ambiente nel quale i ricordi tornano alla mente, ricordi s'intende non di una lunga vita, ma delle persone che non sono qui; è possibile abbozzare dei sorrisi, tornano quelle rabbie che non si dimenticano anche per piccolezze, ma d'altronde niente può essere scordato (a parer mio).

E' come se il lago fosse capace di movimentare il sedimento in fondo a sé stessi, il fango (nella situazione ciò che è passato o ciò su cui si riflette, ma non ciò che è solamente negativo), e ciò fornisce l'input a riflessioni molto più generali in confronto alle quali il presente è piccolo, e la memoria personale diviene riflessione su quella collettiva, come se la memoria fosse in grado, per la sua varietà e copertura temporale, di collegarci ad una dimensione umana più ampia, una realtà di cui noi siamo parte.

Passeggiando, mi hanno colpito gli acquitrini e l'acqua putrida intorno ai cespugli di biodolo, una pianta acquatica.Una visione così decadente, che trovo molto bella e che mi ha ricordato una piccola poesia di D'Annunzio.


                       Nella belletta

    Nella belletta i giunchi hanno l'odore 
        delle persiche mézze e delle rose 

       passe, del miele guasto e della morte. 
            Or tutta la palude è come un fiore 
5     lutulento che il sol d'agosto cuoce, 
       con non so che dolcigna afa di morte. 
            Ammutisce la rana, se m'appresso. 
       Le bolle d'aria salgono in silenzio.          (G. D'Annunzio, Alcyone, Laudi)


(Avvertenza a quei lettori che saranno arrivati fino a questo punto: la prossima volta l'argomento sarà leggero!)

mercredi 6 novembre 2013

ritornando in belgio: una riflessione sui treni

Viaggiare in Belgio è piuttosto comodo, non solo perché è un paese piccolo, ma anche  perché è dotato di una rete ferroviaria con la quale è possibile, da Bruxelles, raggiungere qualsiasi altra città della nazione in un'ora.
Certo non è il caso di Louvain la Neuve, da dove è possibile raggiungere qualsiasi altro posto in due ore, a parte Bruxelles che dista 40 minuti; notare i lunghi tempi d'attesa per spostarsi da qui mi ha fatto capire che probabilmente la categoria degli studenti, soprattutto se pendolari, è intrinsecamente sfigata, dovunque.

Le stazioni ferroviarie hanno scandito il mio soggiorno qui. A partire da quella di Bruxelles - Midi, la più grande della città, la più dispersiva e intimorente per un povero ragazzo di provincia, coi suoi androni infiniti scanditi dai cartelli indicanti il numero dei binari. Cifre che salgono continuamente e più aumentano i metri, centinaia, percorsi, con il rumore delle rotelline del trolleys che rimbomba nelle orecchie.
E quando li percorri nel senso opposto verso il binario 1, quei corridoi sembrano non finire mai e fanno montare un'impazienza di arrivare, ma prima del tuo binario ce ne è sempre un altro.


Niente a che vedere con la stazione di Anversa. Beh, quella rimanda al presente glorioso delle Fiandre e
della città che si può permettere un gioiellino di urbanistica pulito e ristrutturato, seppure le grandi dimensioni; l'edificio, a vedere la grande vetrata interna semicircolare in vetro e ferro battuto, dovrebbe risalire alla fine dell'ottocento, inizio novecento. Una stazione che colpisce per i marmi di cui è rivestita. Anversa è sempre stata una città ricca per il suo porto e la lavorazione dei diamanti, e quella è la stazione che gli si confà.

Stazioni e treni e ferrovie, d'altronde, hanno marcato e premesso lo sviluppo economico del Belgio. La prima linea ferroviaria sul continente fu costruita in Belgio nella seconda metà degli anni '30 per volere di Re Leopoldo (il primo re dei belgi).

Infine la stazione di Louvain - la - Neuve che è anonima assai, e pure scomoda soprattutto quando la vidi la prima volta e con due valigie, di cui solo una, ahimè, era un bagaglio a mano! Perché la stazione è dotata di due grandi rampe di scale che dai binari portano a livello della città. Queste scale, classiche, nel senso che non sono mobili, sembrano quelle di un tempio indiano, peccato che arrivato in cima non si raggiunge lo zen, ma semplicemente iniziò, quel giorno, la ricerca folle per un appartamento e i tentativi ufficiali erasmus per parlare francese.

Piccolo treno belga arancione (dentro è mandarino acceso)
Sta storia dei treni, che sto allungando parecchio, nasce da un sentimento di affetto verso i treni belgi,minuti puliti e arancioni, verso i controllori sempre gentili coi loro cappellini grigi e arancioni che li fanno assomigliare a dei personaggi di Tin Tin, e sopratutto verso i ritardi.
Perché il treno che presi la prima mattina e che da Bruxelles mi portò a Louvain la Neuve era in ritardo e così quasi tutti quelli che mi è capitato, abbastanza spesso, di prendere. Ritardi che, senza paura, sono scritti in rosso e a caratteri cubitali sui tabelloni lungo i binari, ritardi che non sono mai banali perché sono decine di minuti che fanno perdere le coincidenze con altri treni, altre persone, addirittura aerei. Ritardi che fin dalla prima volta mi rassicurarono, resero il Belgio meno estraneo e più simile all'Italia, meno rigoroso e un po' più dialogante che il resto del nord europa. Quei ritardi che mi fecero sorridere, si presentarono sicuri come a casa, ma lontani centinaia di chilometri da là, riferimento indelebile a momenti precedenti che lo spazio aveva allontanato. Risi quel giorno e ancora e oggi stesso, quando i ritardi, a loro modo, mi hanno accolto alla stazione....
Alla stazione di Ottignies

lundi 28 octobre 2013

Io e il francese: cenni ironici a una struttura seria

Che non usino il passato remoto e il congiuntivo, mi spiace; ma il francese, benché lingua neolatina, sorella dell'italiano e dello spagnolo e del portoghese, cugina del rumeno, vecchia come il cucco che già nell'alto medioevo vi sono le prime attestazioni (la prima in assoluto è il trattato di spartizione del Sacro romano impero tra i figli del buon Carlo Magno, a cui tra l'altro è intitolata la via principale di Louvain), è molto più spiccio di quanto non lo sia il nostro caro italiano.

D'altronde il francese è stato sempre parlato, talmente tanto e per lungo tempo, che la sua pronuncia è così cambiata che la grafia delle parole contiene assai più lettere di quelle necessarie e dunque beaucoup di legge /bocu/ e così via. L'altro grande cruccio sono le e che in francese le e si possono scrivere in almeno tre modi: con l'accento acuto é, e vanno pronunciate chiuse come in /per'ché/, oppure l'accento può essere grave è, e la si pronuncia aperta come in /per'chè/ quando è proferito al sud italia (ps. un caro saluto!), oppure, ed infine, l'accento è circonflesso ^, la e si pronuncia aperta, ma l'accento è etimologico. 

Ammesso che i parlanti abbiano interesse a conservare una memoria linguistica, considerando la difficoltà di mantenere quella storica, beh, l'accento circonflesso sta su quelle e che nel tempo hanno perso la -s- che le seguiva: tête < teste* < testas (testas, è la stessa parola latina popolare da cui è derivata la parola italiana. In francese si assiste alla caduta della -s finale dell'accusativo e alla palatalizzazione di a in e. ps. Prendete tutto col beneficio del dubbio!). Ai francesi non so se interessa, ma questo giochino cronologico linguistico non solo è divertente, ma per gli italofoni è uno spasso vedere quanto, precedentemente, le due lingue fossero imparentate.

Ma il francese ha proseguito la sua strada e, come in inglese, è sempre necessario ripetere il soggetto. Infatti in francese, la lingua più veloce d'Europa, le desinenze verbali non si pronunciano e dunque per capire chi compie l'azione è sempre necessario esprimere il soggetto. E qualche volta l'ambiguità rimane (mannaggia a loro!). Infatti il parl e ils parlent (terze persone singolare e plurale di parler) sono pornunciati uguali  /ilparl/ . Ci si salva quando il verbo inizia per vocale o h muta, in quel caso si deve pronuciare la -s finale del pronome ils e dunque il achète non è uguale a ils achètent: /ila∫èt/ e /ilza∫èt/ .

L'ultima notazione è questa, e vi farà pensare alla tendenza semplisicatrice della lingua
La prima e la seconda persona plurale sono distinguibili all'ascolto perché i suffissi verbali sono pronunciati. Ma comunque i madrelingua se possono le evitano, perché il verbo in questi casi subisce modificazioni nella radice. E se della seconda persona plurale non se ne può fare a meno perché costituisce la forma di cortesia, la prima persona è spesso messa da parte e sostituita dal pronome On + III persona singolare. E' una costruzione identica al nostro si impersonale: si mangia invece di mangiamo, on parl invece di nous parlons.

Spero non siano cose così noiose, soprattutto per chi non conosce il francese, e in generale perché mostrano che la lingua è un essere vivente, che cresce si abbellisce si abbrutisce assieme a noi!

samedi 26 octobre 2013

Belgique à manger#2: le plat fort et etrange

Il piatto forte di questi giorni è stato una roba che non potete nemmeno immaginare, perchè d'altronde se c'è una cosa in cui qui sono bravi è l'INNOVAZIONE. 
In tutti campi sanno innovare, forse perchè non hanno una storia lunga alle spalle o definita e grandiosa come la nostra, forse hanno semplicemente una visione più lungimirante, forse hanno solo un po' di pazienza: impegnarsi oggi per goderne domani. Fatto sta che anche in ambito culinario, ce danno dentro, abbestia (scusate il gerghismo giovanile).

Dito introspettivo di Marianna "Mo vedi che
sti cosi so' boni per davvero"....io frattanto cercavo
di comprendere ciò che il ragazzo ci diceva...

E così in una pausa pranzo fredda e buia per le nuvole e il vento, io e Marianna (l'idea era sua) addentrandoci in Grande Place, a louvain trovammo lo stand tanto ricercato dove, dove trovammo dei giovani alquanto strani, che il veganesimo o altre idee sul cibo, quelle che ci hanno proposto, avevano resi un po' emaciati, effetto accentuato forse dai loro abiti, vecchi e chissà, di seconda meno, di un certo gusto anni ottanta, che soltanto i maglioni dei padri non più usati possono ancora sbandierare.

Il foglio delle istrtuzioni ci diceva in un francese stringato e combattivo quanto ciò che avremmo ingurgitato sarebbe stato nutriente e sanoi e sostenibile e equo e .....





Ad un certo punto le nostre competenze romanze ci  hanno messo in difficoltà, quando il caro testimonial dei tanto super - prodotti, ci ha detto che essi non hanno un gran sapore, e la loro unica caratteritica è di essere "crustion", che sulle prime non abbiamo compreso, ma poi abbiamo inteso voler dire "croccante".


Osservateci, perchè dopo aver innalzato le nostre vivande, come prima di uno shottino di "velli pesi", questi due novelli Timon (Marianna) e Pumba (Io), abbiamo mangiato la nostra salata ai VERMI.
Faceva schifo, chairamente, e non per i vermi, povere larvucce grinzose, ma perchè la torta salata era poco saporita...
Non contenti, abbiamo preso pure il Brownie, alla larve!
Se tutte le larve devono avere quell'aspetto lì indifeso probabilmente diventerò vegano!

jeudi 24 octobre 2013

Belgique à manger #1

A Bruxelles di cose se ne mangiano parecchie, tipo


Churros

Non hanno niente a che fare con il nord Europa, ma anche qui, come ovunque del resto, hanno l'abitudine di friggere. In realtà un piatto tipico del Belgio sono, udite udite, le patatine fritte.
Mi ha spiegato una autoctona che il fritto del Belgio è considerato il migliore al mondo, semplicemente perché è fritto due volte! quindi avrà anche un contenuto doppio di grassi! Ma loro dicono che così rimane croccante fuori e morbido dentro...Non so se credergli perché sul fritto ci sono moltissimi luoghi comuni, tipo i cinesi che friggono tutto, ma in realtà nei ristornati si mangia tutt'altro, oppure che fritta è buona anche una scarpa, io non l'ho mai provata ma....non credo!

Ad ogni modo, i churros non li ho mangiati intitni nella cioccolata, come ho visto fare a Madrid a quelli seduti ai tavolini del bar, ma per strada in un cartoccio, come quello in                                                             cui mettono le patatine, qui in Belgio.




Un pollo e tre quarti

Questo è un piatto tipico (?) di qua, perchè tutte le volte che vado a qualche cena organizzata da autoctoni è presente, un po' come la nostra pasta.
Qui potete vedere un mezzo pollo, arrostito non so come, forse in una teglia, nella sua versione etnica con riso basmati appappardellato, miglio africano-cereale-povero appappardellato, e una pappardellata di peperono-melanzane-zucchini che se cucinata correttamente sarrebbe assurta al rango di caponata.

Di quella cena, il cibo è ricordato per la sua "sciocchezza", tale che sulla lingua non si avevano sapori distinti; ad ogni modo è stata una bella serata nella quale ho conosciuto una simpatica ragazza marocchina, che poi non ho più visto: una presenza passeggera interessante.
Ad ogni modo, la cena era offerta.                                  



Cibo bonito me pare!
I latini conquistarono il mondo conosciuto, i neolatini, soprattutto quelli del sud, si sono limitati alle tavole e ai ristoranti.

E' nelle strade dietro Grande Place a Bruxelles che credo si trovi la più alta concentrazione di ristoranti latini di tutto il Benelux, una via, fregature comprese, dove tutto è spagnolo e parla di mediterraneo spinto come la paella assai scadente, ma riempiente assai il mio stomaco, che vi mangiai.

ps. In quella via la latinità del sud non era solo sulle tavole, ma anche sul selciato, dove scarti di pesci e acqua nera e foglie di verdure, sembravano aver ricreato la Vucciria di Palermo!


'Na crepp!

Per la serie anche il Nord Europa ha qualcosa da offrire, ecco una bellissima, salatissima (anche nel presso) creps salata, degustata come una meraviglia locale, un umido sabato sera a Louvain la Neuve, da un gruppo di erasmus in cerca di esperienze indigene.

Era riempita di verdure e sopra c'era del parmigiano, era buona a dire il vero, ma il cibo di noi terroni indebitati e cicaleggianti non lo batte nessuno!






















C'era anche il cagnolino dei padroni, bello rotondetto a forza di ripulire il pavimento, mangiando le briciole cadute.