lundi 2 juin 2014

"(non) E' morto il re! Viva il re!" un'abdicazione e una speranza (per i giornalisti)

Nonostante il periodo di studio matto e disperatissimo, non potevo esimermi dal commentare il fatto che oggi ha scosso il mondo intero: Re Juan Carlos di Borbone Spagna, ha abdicato. 

Sinceramente, me lo aspettavo. Dopo la regina d' Olanda e il re del Belgio, me lo sentivo che il prossimo era lui, anche perché presenta non pochi problemi di salute.
Re Juan Carlos con la regina Beatrice d'Olanda nel 2001
(tutti e due hanno abdicato)
Ma partiamo con ordine.

Juan Carlos, a tutti coloro repubblicani incalliti che rifiutano di arrendersi alla magia e al sogno che la monarchia riesce a comunicare anche in tempi disillusi come i nostri, Juan Carlos dicevo rimarrà un RE cruciale nella storia di Spagna.
E' il re che ha guidato la transizione democratica dopo la morte di Franco e che l'ha difesa dal colpo di stato del generale Tejero nel 1981. Ed è stato lui, fra i primi, a volere questo passaggio a cui la società spagnola era pronta, ma molta parte della politica no. Con l'avvento della democrazia e della monarchia costituzionale, egli è stato capace di riunire gli spagnoli che ancora portavano le ferite della guerra civile degli anni '30, dando loro una patria nella quel tutti si conoscessero. Ha dato alla Spagna stabilità, ed assieme ai governi socialisti ne ha fortemente voluto l'entrata in Europa nel 1986.

Certo come in tutti i casi ci sono le luci e le ombre. Conosciuto per le molte avventure galanti, l'ultima è stata scoperta nel 2012, in occasione di un safari in Africa. Il re non solo aveva tenuto segreta la sua assenza all'opinione pubblica ma anche al primo ministro; però il diavolo ci mette sempre lo zampino: il re si ruppe l'anca durante la caccia all'elefante, il safari, molto costoso, fu scoperto, come anche la sua amante bionda e spumeggiante che lo accompagnava.
Questo scandalo, in una Spagna snervata, è niente in confronto a quello che vede imputato in un processo suo genero, il marito della principessa Cristina. Il motivo: si sarebbe appropriato di fondi pubblici abusando del suo titolo di Duca di Mallorca.

Ma non facciamoci condizionare dal sentimento repubblicano astioso. Bisogna guardare al futuro. E nel destino di questa grande nazione, sta scritto Filippo VI. Che nome e che Re (bello)! Filippo si pone direttamente in linea con la tradizione monarchica spagnola più antica e forse più gloriosa, quella degli Asburgo (che i Borbone sostituirono grazie alla vittoria nella guerra di successione spagnola, a inizio del settecento).

Felipe ha un compito difficile. Restituire agli spagnoli fiducia in una istituzione logorata dagli scandali e mostrare capacità all'altezza del suo predecessore.

Ha tutte le caratteristiche per farlo. E' giovane, ben istruito e di buon carattere. Ha molta esperienza poiché sempre più compiti gli erano stati affidati. Può contare sull'aiuto e la capacità della madre, la regina Sofia di Grecia, assai benvoluta dal popolo. Ha due figlie piccole, di cui la prima, l'enfanta Leonor, potrà divenire la prima regina spagnola per diritto! Ed ha una moglie borghese e giornalista, Letitia Ortiz, semplice e senza fronzoli.......

"(non) E' morto il re! Viva il re!" la favola continua e speriamo che finiscano felici e contenti!

ps. Se nelle favole il principe sposa la giornalista, e se io sono un giornalista, allora........


jeudi 15 mai 2014

Salle de Musculation 2: "faccio il figo, ma sono un povero disgraziato come tutti"

Sono entrato. Bene. Non mi resta che prendere un tappetino verde, della lunghezza di un pigmeo (e sono davvero corte queste piccole stuoie per non entrarci nemmeno la metà di me), e iniziare a fare le mie flessioni.
Tre serie, da 15 flessioni, mani dietro la testa, naturalmente il collo si piega troppo ma il busto si alza poco. Ogni volta che rimonto il mio capo verso l'alto, cercando di non far notare la mia malagrazia a questi professionisti del fitness, vedo cose.......
Gli angoli della bocca

Una volta mi sono addirittura impaurito. Un ragazzo, dall'aria poco sveglia, era aggrappato ad una sbarra orizzontale elevata da terra; staccata improvvisamente una mano dall'asta ho pensato che cadesse e invece no, si apprestava a tirare il suo corpo su e giù con un solo braccio. Aveva gli angoli della bocca talmente tirati e allungati, che gli toccavano le orecchie. Ma non sorrideva.

E' questo che colpisce della tipologia "faccio il figo, ma sono un povero disgraziato come tutti" (nella quale rientro anche io), la forza di abnegazione che hanno nel condurre esercizi che hanno per loro la stessa piacevolezza di una cattiva notizia la mattina del proprio compleanno; ma imperterriti continuano, come faresti il giorno del tuo compleanno se ci fosse una cattiva notizia: in fin dei conti, la vita deve andare avanti o no?

"Il ragazzo con l'asta" è niente a confronto dei tremiti e dei singulti che alcuni provano e a cui decidono di sottoporsi alzando i grandi bilancieri. Neanche i visi angelici belgi riescono a resistere alla fatica e si deformano, fino a che sbanf, "cadde come corpo morto cade". Il segnale della fine; la prova del nove perché dopo aver mollato il bilanciere si può soltanto ripensare alle serie compiute e al tempo che si è resistito.
Lui, il bilanciere e l'amico
Ma non c'è solitudine in questo. Appena lo sbanf si propaga nell'aria, l'amico sorride al nostro uomo come a incoraggiarlo, mentre gli altri attorno si girano a guardano con ammirazione, perché conoscono la fatica, e con invidia, perché fra poco toccherà a loro (mentre l'altro s'è già tolto l'esercizio). 

Questi bei ragazzoni formano una comunità, silenziosa a dire il vero. Alla mia alzata di capo ne vedo qualcuno che passeggia a piccoli passi nei dintorni della macchina, magari ha fatto posto al compare o semplicemente riposa. Si guardano e si fanno mezzi sorrisi, e poi si osservano i bicipiti sulle braccia inclinando un lato la testa, o pure le gambe abbassandola leggermente. Muovono il capo a ritmo leggero, e si passano una mano sulla maglietta come a lisciare i pettorali, assicurandosi che siano ancora lì o che siano cresciuti giusto un po', come le piantine di fagioli nelle notti di luna piena......
Potere del cristallo di Luna, vieni a me!

Salle de Musculation 1: l'epica entrata

Al centro sportivo non ci si annoia mai, e dopo aver provato yoga ed essere passato per il pilates, aver sentito parlare di badmington e di boxe francese e di karate, ho deciso che era giunto per me il momento di entrare nella sala di MUSCULATION. Sì, avete capito, quella sala dove gli uomini si rinchiudono nel tentativo di scolpire i loro corpi come armature medievali. 

Lancillotto Invidioso (come se non ne avesse già
vissute abbastanza, le pauvre)
Un luogo, come un altro pianeta i cui parametri differiscono dai nostri, dove i bicipiti sono grandi come pompelmi, i petti hanno le sembianze di usberghi d'acciaio che farebbero impallidire Lancillotto (e perdere la testa, manco a dirlo, a Ginevra) e i polpacci sono fasci di fibra come tronchi di ulivi.


(E' inutile dire che lo spettacolo è dei migliori, considerando che l'aria "acqua e sapone" degli uomini belgi allontana il rischio truzzaggine che nelle stesse sale si respira in Italia: qui sono prestanti, e basta).

Naturalmente, dietro questo sfoggio di fasce muscolari proterve e aggettanti, si nasconde un lato oscuro, quello della fatica e dei tentativi, dei rimorsi per non avercela fatta, e delle figurette sempre dietro l'angolo di fronte a compagni di sala sempre pronti a sorridere.
A: La bellezza di cui sei circondato non è abbatsanza?
B: No. Non lo è.
Che dire, per belli apparire bisogna soffrire e la sala di Musculation te lo fa intendere. Tutte buone ragioni per rinunciare a questo mito della bellezza; in fin dei conti, la bellezza di cui sei circondato non è abbastanza? No. Non lo è. 

E così anche io ho iniziato, modestamente, si intende, a frequentare quel luogo. E visto che io vedo quello che vi accade ve lo racconterò. Ed anche lo sento.
Non occorre consultare la mappa del centro sportivo per trovare la sala. Essa si fa riconoscere. Seguendo il lungo corridoio illuminato a neon, a poco a poco il rumore dei propri passi viene meno e si sentono come degli schiocchi, e poi dei veri clangori. I clangori delle rotelle di ferro che cadono. E poi i tonfi dei manubri lasciati cadere sotto il loro peso, come corpi morti cadono. 

E' in fondo al corridoio. A destra. (E non è il bagno).
In fondo a destra. E' là.

samedi 10 mai 2014

PICCIONi, PICCIONcini e imPICCIarsi (gli animali di Louvain la Neuve)

Posso dire di non essere mai solo in casa e non perché abbia degli inquilini. Infatti, anche nel weekend, quando essi tornano alle loro dimore sparse per il piccolo regno del Belgio, io non sono solo. C'è sempre qualcuno in cucina, nei corridoi o in camera, sempre accanto a me , o meglio sopra la mia testa.
Io abito all'ultimo tetto e sopra di me, al quinto vista cielo, ci sono i piccioni.   

Uccelli maledetti che io non sopporto, cacatori a tradimento su spalle, teste o capelli (ma nel mio caso c'è il solaio a proteggermi, se dio vuole), essi hanno eletto il tetto di questo palazzo a grande habitat naturale. In fin dei conti la posizione è buona, in centro e accanto al Sablon, il ristorante universitario. Inoltre, i furbacchioni sanno bene che i belgi tra l'una e le due ingurgitano tonnellate di cibo (perché sono tanti sia ben chiaro e non perché mangino tanto, più che altro male) e altrettante le perdono per le strade del centro, poiché sgranocchiano in piedi a camminano. Ed è in quei momenti che l'intelligenza dei piccioni mostra il suo picco: essi infatti planando a tutta birra, come aerei della ryanair fuori controllo, riescono a impadronirsi di tutto quel ben di dio (e aiutano anche a tener pulito, salvo che poi sporcano in altra maniera....). 
Il tetto, che certo non è costruito coi materiali più nobili, sembra la pista di atterraggio di un aeroporto: pieno di rumori planano e ritornano e tubano e poi si litigano.
I piccioni sono franchi, mica te la mandano a dire. Non hai a imPICCIarti degli affari o delle briciole altrui, che quelli partono all'attacco e si becchettano con una violenza, tanto che a volte emettono dei versi strani che mai avrei creduto possibili da un piccione (nei quali non ripongo grande fiducia).

Ma secondo me c'è qualcosa di più. A volte studiando in camera mi sento come osservato e dalla finestra vedo due piccioni fermi che mi guardano dal tetto al di là della strada. E poi subito iniziano a passeggiare sul cornicione, muovendo ritmicamente la testa avanti e indietro come solo loro, e qualche pazzo che ho visto ballare a louvain la neuve, sanno fare. Mah.....

Hanno anche momenti teneri, i piccioncINI. Proprio ieri, forse per farmi invidia, dato che è da gennaio che
mi osservano e quindi ormai conoscono la mia storia, due esemplari di Columba Livia, dopo essersi ben nettati il piumaggio spostando lo sporco da un punto all'altro del corpo, si sono avvicinati, si sono guardati e si sono presi per il becco uno l'altro......(e poi hanno anche copulato, ma questo non fa parte del romanticismo, ma è semplicemente la mentalità picciona che salta fuori in ogni momento). Sono rimasti becco a becco per qualche minuto, per poi iniziare a becchettare tra le tegole cercando qualcosa da sgranocchiare....

dimanche 4 mai 2014

Marcinelle 2: una riflessione....

Voglio ritornare sul post che ho scritto su Marcinelle, al quale vorrei aggiungere una riflessione.

Il sito di Marcinelle, oggi ristrutturato e divenuto patrimonio dell'Unesco, vuole essere, nell'idea dei progettisti, un luogo di riflessione sul tema della migrazione.

La storia di questo luogo è strettamente legata alle difficoltà gli europei si trovarono a dover fronteggiare dopo la seconda guerra mondiale, fra i quali gli italiani.

L'Italia non avrebbe avuto la capacità di rialzarsi senza i fondi del piano Marshall, e nell'immediato dopo guerra l'emergenza lavoro era evidente, come anche lo scontento sociale.
Proprio per alleggerire questa situazione, l'Italia firmò nel 1946 un protocollo con il Belgio per facilitare l'entrata dei nostri connazionali in quel paese a fini lavorativi. Gli italiani furono incentivati ad andare, e i Belgi incentivati ad accoglierli visto che essi si rifiutavano di lavorare nelle miniere, mansione troppo umile e pericolosa, ma allo stesso tempo avevano bisogno del carbone per dare combustibile alla loro ricostruzione.

Fin qui tutto assai normale. Senonché gli italiani che partivano erano spesso ingannati, poiché gli era spiegato che in Belgio avrebbero avuto vitto e alloggio per loro e la famiglia e che il lavoro era ben pagato e che gli orari non erano massacranti.
Quando queste persone invece arrivavano si trovavano di fronte alla desolazione. All'inizio tutti, ma altri per degli anni, furono costretti ad abitare in container di lamiera che erano gli stessi che usarono i soldati nella guerra. Solo con molta fatica riuscivano a costruirsi le case "couronne" come le chiamano qui, piccole e in mattoncini, tipiche case degli operai; naturalmente tutte costruite nei dintorni della miniera e dunque esposte ai fumi, alle polveri (il sito di Marcinelle è in mezzo all'abitato del paese omonimo).

Non so se notate.....I container erano in lamiera e dentro vi erano delle brande appese alle pareti. Quella era la residenza
di più operai e delle loro famiglie.
Quando successe il disastro, sapete cosa accadde? A parte qualche misura di sicurezza in più, e visto che gli italiani avevano già dato il loro contributo di sangue, iniziarono ad essere chiamati immigrati turchi e spagnoli a lavorare in miniera, che chiuse nel 1967.

Marcinelle quindi ha a che fare con la migrazione. Essa, come molte altre realtà, è il simbolo dell'avidità dell'uomo che s'approfitta di chi ha fame per costringerlo a condizioni assolutamente sfavorevoli, dandogli in cambio poco; e inoltre è rappresentazione della superbia umana, che pretende di non garantire a degli stranieri i medesimi diritti che garantirebbe ai connazionali, proprio in virtù della loro origine differente.

Credo che questa pagina, sperando che la leggiate, possa offrire uno spunto di riflessione sull'attualità e le idee che ciascuno ha su di essa.

Un vagone carico carico di.....ITALIANI

Che in Belgio siano persone tranquille non abituate ai grandi cataclismi (qui i terremoti non ci sono) né alle rivolte sociali (qui la crisi ha colpito assai meno), è un dato di fatto. Essi infatti vivono placidi e calmi nel loro mondo che, in effetti, è molto invidiabile dato che la gran parte di ciò che c'è funziona ed è a misura perfetta di consumatore o cittadino.

Chiaramente, dato il background d'illimitata placidità, un imprevisto può gettare nel panico. Come quando un controllore dei treni belgi incontra un vagone carico carico di.......ITALIANI.
Come un gatto in tangenziale o un gallino a un'assemblea di volpi, i controllori non potrebbero desiderare di peggio.
Gli italiani, si sa, non perdono il loro gusto per viaggiare senza avere il biglietto, come gli articolo 31 cantavano, il problema è farlo in una ventina, uno accanto all'altro contro una piccola povera controllora, disabituata "a questo genere di cose". Bisogna dire che le macchinette per i ticket ieri sera non funzionavano e dunque eravamo scusati.

Ma per la povera ragazza dai capelli castano chiaro spento è stato comunque difficile, perché non solo si è dovuta applicare con il suo marchingegno elettronico per fornire di biglietto "andata e ritorno tariffa weekend" tutti i portoghesi, come se dice a Roma, senza valido titolo di viaggio, ma ha dovuto pure affrontare una trattativa, in puro stile "fai la grazia San Gennaro".
All'inizio (come era)
La multa infatti ci sarebbe stata, seppure non troppo alta, ma la povera vistasi pregare in ginocchio e sentitasi raccontare nel nostro francese, quello in italiano, le mille ragioni per le quali non avevamo potuto fare il biglietto, alla fine, ella ha acconsentito. 
E dopo lo scoglio l'iniziale, per la giovane pulzella pallida, è iniziato un giro dell'inferno che, dalla cima, l'ha portata al fondo del vagone in circa mezz'ora, girandosi ad ogni sedile.

Da bianca è diventata verde, viola, quando ha fatto il biglietto a me era gialla e il sudore gli imperlava la fronte. Gli occhiali, dall'ansia che la povera aveva, gli erano scivolati lungo il naso fermandosi a poco dalla punta, tipicamente belga: acuminata e leggermente slargata sulle narici. I capelli legati in una morbida codina tenuta da una semplice elastico, erano ormai scompigliati: il gommino era sceso e quelli si erano espansi e mossi ciascuno per la sua direzione.

Alla fine (come è diventata)
Nel mentre, oltre l'invasione dei visitors italiani, la povera doveva anche badare al treno: scendere alle fermate, dare l'ordine di ripartire, senza considerare che facendo i biglietti in piedi, ogni frenata ogni curva la facevano traballare inesorabilmente. 
ogni cambio di rotaia,

Scesi, avrà sicuramente tirato un respiro di sollievo. E togliendosi il cappellino cilindrico grigio con la banda arancione lo avrà forse visto per la prima volta bagnato di sudore da stress!

(Il post è ironico. Ed è una celebrazione implicita e "a contrario" della capacità degli italiani di tirarsi fuori dalle situazioni peggiori, perché ahimé al peggio ci siamo abituati. Mentre la ragazza belga era veramente in ansia....)

jeudi 1 mai 2014

1° maggio: Marcinelle

Marcinelle. Cancello di entrata
Oggi, 1° maggio, sono stato a Marcinelle. In questa frazione di Charleroi, l’8 agosto 1956 ebbe luogo una delle più rilevanti tragedie sul lavoro che la storia del Belgio e dell’Italia, dato il numero di lavoratori italiani presenti, abbiano mai visto. 262 vittime di cui 136 italiani e 95 belgi, tutti morti intrappolati come topi in fondo a cunicoli troppo stretti e bui, nei quali le garanzie per la sicurezza non erano all’ordine del giorno.
Oggi il sito, ristrutturato e divenuto patrimonio dell’Unesco, ha un aspetto fortemente innaturale: è ordinato, è silenzioso, non è fuligginoso. Rimangono
Le due torrette dove si trovavano gli ascensori.
Al di sotto di esse i pozzi estrattivi
ancora in piedi le due torrette in ferro che contengono gli
ascensori per i quali uomini e carbone entravano ed uscivano dai pozzi. Pozzi che si trovano proprio lì sotto, e ciascuno, perpendicolare alla sua torretta, entra nella terra.

Cosa successe quella mattina alle ore 8,10 dell’8 agosto 1956?              
Sala degli Impccati
Come ogni giorno gli operai entrarono dal cancello e alla portineria presero la propria medaglietta numerata. Poi nella vestieria si misero gli abiti di lavoro e attaccarono quelli civili ai ganci che tramite una carrucola erano issati al soffitto; gli abiti che pendevano dall’alto avevano un aspetto lugubre e infatti lo spogliatoio era chiamato “Sala degli Impiccati”.



Poi si passava alla lampisteria dove ciascuno prendeva la sua lampada a olio e lasciava la medaglietta numerata, così si sarebbe sempre saputo chi era dentro. Adesso si entrava in miniera e lo si faceva con gli ascensori usati anche per i carrelli e costruiti apposta per questi, cosicché gli uomini dovevano accovacciarsi: erano troppo alti per gli ascensori dei carrelli…..

Al le 8 di mattina i turnisti appena entrati, stavano cominciando a lavorare. La miniera di Marcinelle non aveva un sistema elettrico che segnalasse la presenza del carrello pieno nell’”ascensore” per farlo salire, né per far comprendere ai minatori che l’elevatore fosse già in moto. Il minatore, per avvertire in superficie,  poteva solo tirare una corda a cui era attaccato un campanello e il suo collega, lassù, sentendo i tintinnii avrebbe azionato l’ascensore. Peccato che la corda a cui il campanello era legato poteva essere lunga anche un chilometro, tanto era profonda la miniera.

La mattina dell'8 agosto 1956
La mattina dell’8 agosto proprio qui si creò l’incidente. Un minatore al livello 975 (975 metri sotto terra) non si rese conto che l’ascensore era già in moto ed inserì un carrello pieno. Da sopra quando udirono non poterono far niente per fermarlo. Il carrello entrò di straforo nell’ascensore rompendo un asta metallica della struttura e la conduttura dell’aria pressurizzata. La scintilla che ne scaturì bastò a innescare l’incendio nei cunicoli (data la presenza di gas nei tunnel). 

Dei due pozzi uno, questo, era bloccato perché il carrello incastratosi aveva inceppato l’ascensore. Nell’altro pozzo c’era troppo fumo.
Fortunatamente ve ne era un terzo più grande e appena terminato. I soccorritori tentarono di entrarvi il 22 agosto, ma non ce la fecero perché dall’apertura non poteva passare un uomo che indossasse lo zaino (rigido e di medie dimensioni) che conteneva i dispositivi di sicurezza per la respirazione. Il “nuovo progetto”, quello del dopoguerra, pretendeva ancora che i minatori si recassero là sotto a braccia e mani nude, inerme nelle viscere della terra.

II 23 agosto, dopo aver allargato l’apertura, i soccorritori entrarono. Ma non soccorsero. Furono estratti i 262 corpi, uno a uno. Ciò andò avanti per mesi.






lundi 28 avril 2014

Amsterdam KonigsDag! "Mon Dieu"

Amsterdam KonigsDag! “Mon dieu” dirais Lyla en imitant Marianna et l’accent italien. Parce que le jours dans lequel les néerlandais fêtent leur roi, et jusqu’à l’année dernière la reine, est vraiment une nouvelle 24h vélo qui a fait chuter tous les clichés sur la ville la plus propre et ordonnée de toute l’Europe occidentale !

Dans un scenario unique, où le maison ont les toits à marches ou doucement inclinés,
et les murs sont tous tordus, une folle de centaines de milliers de personnes se promenait par le rues et sur les canaux, ou dans ceux là ! En effet il y avait des bateaux, plein de personnes, surtout jeunes, qui avait organisé comme des partis flottants  tellement plein de gens qu’on se pouvait demander comment il faisait à ne pas aller au fond ! Avec la musique haute, ces grandes barques suivaient la toile d’araignée de vie d’eaux qui court par tout le centre historique : ces bateaux de l’amusement semblait vraiment être l’emblème d’une ville et d’une nation en fête !

Moi, Marianna, Louise (qui autre des lunettes, avait aussi le collier aloha
 et le bracelet avec les couleurs du drapeau né
Le couleur national est l’orange et, en fait, on l’a bien compris ! Si avant je pensais que le fait que la nationale de football s’habille d’orange, il était seulement une coïncidence, maintenant non. Samedi, Amsterdam avait mis sa robe orange pour l’occasion : les magasins, ceux ouverts, ou les petits comptoirs dans les rues ne vendaient que lunettes pour les soleil orange, chapeaux du même couleur (et avec les plumes, lesquels louise voulait acheter mais on la lui ai déconseillée vue qu’ils rassemblaient les chapeaux des drag queens. My lovely louise). À la fin on a décidé pour les lunettes orange qui nous ont donné une air vachement locale laquelle nous a permis de nous mieux confondre avec les vrais néerlandais, sans donner top de suspects (bien que quelqu’un…. Je pense on l’a donné). En effet, on s’est promenés toute la journée avec ces trucs fluo sur le nez, mais le soleil, on le voyait seulement nous.....

Les neerlandais, c’est vrai, ils boivent beaucoup et ça ne doit pas être étonnant, vu qu’il l’ont fait par des centaines d’années jusqu’il n’a pas été activé le service pour la potabilisation de l’eau : avant ceci, seulement bière, aussi pour les enfants, même si plus légère ! (Le matin les restes de ce qui un temps était des verres, recouvraient le macadam et les trottoirs) 

Bref on s’est bien amusé, entre la place central où, en face du palais royal, il avait été installé une espèce de luna park, et les milles rues et canaux plein de vie, des personnes, et de liberté (mais ceci sera une autre page du blog…..)

Derrière il y a le palais royale, chef d'oeuvre de l'architecture baroque néerlandaise
Ps. Pourquoi l’orange couleur nationale ? Parce que la dynastie, qui règne sur les Pays Bas depuis l’indépendance de l’Espagne en 1581, est la dynastie d’Orange (et maintenant le roi s’appelle Guillaume Alexandre d’Orange Nassau des Pays Bas).

mercredi 23 avril 2014

Alla fiera dell'est (XX Giornata dell'Agricoltura à Louvain la Neuve)

Alla fiera dell'est per tre soldi, un topolino mio padre comprò, alla fiera dell'est........ Non c'erano topolini, ma era comunque una fiera, la "XX giornata dell'agricoltura di Louvain la Neuve".
Certo l'odore di sterco non è certo il massimo nella pizza principale della città, ma trovo molto più sano il non averne vergogna e il mostrarlo anche nel centro del paese come fanno i Belgi, che un disgusto un po' cittadino fine a sé stesso (chi mi conosce sa benissimo che qui potrebbe iniziare una polemica lunga un chilometro sui mali del progresso indiscriminato e tanti discorsi "si stava meglio quando si stava peggio"!).
Finalmente, ho avuto l'occasione di vedere una Belgian Blue. Che cos'è? E' una mucca body - builder. L'Arnold Schwarzennegger della stalla! La Belgian Blue è infatti sta selezionata per la qualità della carne, ed anche la quantità. Una razza che dona tanti filetti e si vede, visto che la sua pelle fine non nasconde i fasci muscolari poderosi.


Ci stavano poi i maniscalchi. A parte che erano tutti giovani e muscolosi....e sporchi (con quell'aria belga un po' sfatta che dona sempre un certo gusto rivedere negli uomini), essi con grande maestria ferravano e facevano la pedicure a dei bellissimi cavalli da tiro. La pedicure è un processo lungo e articolato. Il maniscalco prima toglie il ferro vecchio, poi pulisce la pianta del piede e taglia il callo interno. Infine accorcia l'unghia esterna e la lima in modo che i
due zoccoli abbiano le stesse dimensioni. Accanto altri ragazzi stavano, come fabbri, realizzando i ferri: tramite dei forti colpi di martello le lunghe barre incandescenti acquisivano la forma a U che tutti conosciamo.

Oltre i tanti animaletti c'erano conigli, polli, pecore (un po' sofferenti perché durante la rasature erano state escoriate) e capre, si poteva mangiare. 
Non solo la porchetta, di cui dopo poche ore non è rimasto niente (e che è stata cotta durante la notte precedente: noi uscivamo dal pub e loro la giravano sul fuoco); ma anche latte e formaggi.



Il vero latte, quello "della NONA", non ha niente a che vedere con quello che compriamo. Il latte fresco ha un sapore molto più forte e corposo all'inizio, da un senso di pesantezza! Ad ogni modo, anche il burro, quando è fresco non è il "Burro - Pallido" del supermercato, ma bello giallo e grasso e saporoso!
L'odore era quello che era e accarezzare un cavallo o una vacca rende le amni simili a quelle di uno spazzacamino, nere. Ma ne valeva la pena!

vendredi 18 avril 2014

Il futuro in una tazzina

Tra le mille magie dell'Oriente delle mille e una notte, c'è pure quella della lettura del caffè. Che "digiamogelo", è comunque meglio che leggere i fegati come facevano gli Etruschi, troppo macabro, o il volo degli uccelli come facevano i romani, troppo hippie. I turchi hanno trovato la loro speciale via di mezzo: leggere ciò che rimane del caffè. E ce ne sta di fondo in quei caffè fortemente aromatizzati che poco hanno a che vedere col nostro amatissimo espresso: quello turco è talmente denso che loro stessi dicono che
il caffè lo mangiano e non  lo bevono.

La moschea Suleymanye edificata dall'architetto Sinan
 per Solimano Il Magnifico
Ma torniamo al vaticinio. Quale migliore modo per introdurre, in una splendida vacanza al confine tra Europa e Asia, della sana ansia?
Niente di meglio che un vaticinio improvvisato in un caffè della Istanbul vecchia a due passi dai minareti della moschea Suleymanye, soverchiati dalla sua grande cupola.

caffè appena servito
Il rito è lungo. Il caffè è già portato zuccherato in modo da non doverlo girare col cucchiaino e inoltre va bevuto lentamente per dare il tempo al fondo dell'"Arabico chicco" di posarsi e soprattutto di non essere ingerito, anche perché ha la consistenza della calcina! 
Terminata l'ambrosia, la tazzina va capovolta sul rispettivo piattino, a cui deve essere sempre accompagnata, e sulla base della quale viene messa una moneta che aiuti il fondo di caffè a raffreddarsi.
tazzina capovolta con moneta
Questo è un momento importantissimo, la tazzina non deve essere assolutamente mossa, perché il fondo inizia a muoversi verso il basso e a solidificarsi creando quei disegni che successivamente saranno letti.

La tazzina è sollevata. Qui inizia il vaticinio,  l'aruspice comincia a parlare, con frasi vaghe e nette, intervallate da boccate di narghilé che avvolgevano tutto nel fumo....all'odora di ciliegia! E come un sacerdote di Delfo, il caro amico turco ha cominciato a sparare  a zero.
I rigagnoli che lasciano intravedere il bianco della tazza sono importanti,                                                         indicano i percorsi di vita.
Uno è talmente rettilineo e definito che non fa presagire niente di eccezionale se non una vita estremamente ordinaria, un incubo. Un altro ha la forma sinuosa di un serpente: pericolo. Senza considerare i piccoli grumi tondeggianti che significano "nemici". Nell'ultimo, invece, si vede una persona alta in fondo.... e spero di non averlo già utilizzato, visti il passato e gli altri cammini! 
Me
In questo marasma vengono aggiunte alcune massime tipo "mi raccomando pensa alla tua vita professionale, non ad altro perché è inutile, concentrati su te stesso" (ci devo credere perché è vero o perché è quello che mi vorrei sentir dire?) e poi  "otterrai del successo, ma dovrai faticare" (scontata questa frase, ma vera) e ancora "sii sempre te stesso, perché solo così prenderai le giuste decisioni" (AH, faccia sconcertata e mano sul petto in segno di stupefacimento).
Gli altri
Alla fine, il fumo, che ormai avvolgeva tutti i presenti, lasciava intravedere a loro la mia faccia pensosissima e colpita dalle frasi del divino, e a me i loro visi increduli e tra le mani, in segno di "ma ce stai                                                           pure a credé?"......
Così terminò il vaticinio e la serata nella quale cercai di vedere il mio futuro consultando una tazzina di caffè!

mardi 15 avril 2014

Evviva l'hammam

Questa si che è vita. Un hammam completo per la prima volta nella mia esistenza. L'hammam è nella tradizione araba il grande bagno che si svolge alla fine della giornata in luoghi pubblici. Ed oggi è toccato a me.



Non era un hammam storico di Istanbul, uno di quelli costruiti dal grande architetto Sinan che con i suoi lavori ha creato e alimentato la rinascenza ottomana del XVI secolo, anche perché AMMAzza che prezzi quegli hAMMAm.
Dunque ce ne siamo andati in un hammam seminascosto in una piccola viuzza in salita, nella quale erano in corso lavori di rifacimento del manto stradale e nella quale i camerieri dei ristoranti, come camosci, ti balzavano addosso iniziando a parlare come registratori preimpostati in tutte le lingue possibile immaginabili.
Nell'Hammam, un signore alto magro dritto composto e sempre calmo, requisito necessario e quasi ineluttabile visto il caldo rinciocchente, ci ha accolto.

E il bagno ha avuto inizio. Tutto è iniziato dalla sauna. Una caldo terribile, che la chiave del camerino che portavamo legata al braccio era rovente, ma va bene, almeno riattiverà la circolazione.....

Patere 
Poi c'è il vero e proprio bagno turco. L'acqua scende da grandi rubinetti in alcuni bacili, dai quali è presa con delle patere (si le patere, le grandi ciottole d'argento decorate usate ai tempi della Magna Grecia), e ciascuno se la versa addosso. E in maniera violenta. L'impressione di essere una grande spiaggia piena di balene che, povere, sbattono la coda. Era tutto uno sciabordare.
Fino a che e qui arriva il pezzo migliore, il tipo, quello calmo, è arrivato con bruschini e sapone di marsiglia a darci una bella sgremignata. Erano anni che qualcuno non mi lavava e per di più con quella energia. A metà tra un auto all'autolavaggio e la strigliatura dei cavalli. Non c'è stato angolo di me che non abbia visto i bruschini lisciarmi. Senza considerare che ogni volta che mi lanciava paterate d'acqua, sembrava il titanic negli ultimi istanti quando l'oceano entrava ovunque e portava via tutto, nel mio caso l'asciugamano......e visto che non avevo altro indosso, ho sfoderato un'agilità inaspettata.
Alla fine del trattamento avevo pelle liscia come seta e peli voluminosi come quelli di questo cagnolino!










E infine il massaggio. Unto come un atleta (!) o più semplicemente come uno che non usa "Off - né punti né unti" (per chi ricorda la pubblicità), sono stato manipolato, smandrugiolato da una ragazzona che doveva avere un passato nel lancio del peso olimpionico, forse quello femminile......Scricchiolato, pizzicottato, lisciato, mi ha addirittura massaggiato le dita dei piedi e le ha fatte schioccare, una per una!

Alla fine, il relax è assicurato, peccato che in Italia un trattamento così si paghi in euro e non in lire turche!!

samedi 12 avril 2014

La moschea blu



La moschea Blu, uno dei monumenti principali di Istanbul colpisce per la sua eleganza e armonia. L'edificio costruito nei primi del '600 è costruito da una grande corpo centrale a cui sono addossate 4 semi-cupole. 




La presenza di calotte e cupole in grande numero all'esterno dona alla moschea un aspetto armonioso e ne accompagna lo sviluppo verso il basso. 





All'interno, gli spazi enormi sono ricoperti di piccolissime piastrelline di Iznik, una ceramica famosa e di grande tradizione in Turchia, dove a predominare è il colore blu.







I gatti di Istanbul

Istanbul è una città di gatti, che si trovano dappertutto, anche se la mercato del pesce sono molto più numerosi. 


Il primo micio, di una lunga seria, che ho incontrato a tu per tu, si trovava al cimitero di Uskudar. Silenzioso, raccolto, accovacciato sulle zampe, quelle anteriori delicatamente piegate sotto il corpo sembrava rimirare le steli tutte particolari di questo cimitero storico dove è sepolto un grande imam del passato.

Ma i mici che a me piacciono tanto li trovi per le strade e sono tutti socievoli. Mica i mici belgi, anche loro freddi e sempre di fretta. Questi sembrano essere in simbiosi con un animo turco che, per l'esperienza presente, è sempre ben disposto all'accoglienza e all'aiuto. Non è raro trovare turchi che, notato che sei straniero, volontariamente cerchino di darti le indicazioni cercate in un inglese stentato o direttamente in turco, gesticolando e provando più volte, ciascuna più appassionati. Così sono i mici, ti passano tra le gambe quando fai una foto e li senti lisciarti gli stinchi. Tu li chiami e quelli vengono mostrandosi sempre coccolosi e fusosi (cioè che fanno le fusa). 


E hanno anche un forte senso del commercio come tutti i turchi. (Qui si lavora fino alle 23 non stop). Guardate questi due bei gattoni che assistono dall'altro lato della bancarella il loro padrone, e con finto sguardo sornione sorvegliano che nessuno taccheggi.

 Poi abbiamo i gatti marinai che si sono stabiliti nel foyer dei traghettipermuoversi
da una parte all'altra del Mar di Marmara.

I dormiglioni. Che si godono il sole della mattina sulla pergola all'entrata dell 'Università di Galatasaray (Ortakoy), alla faccia degli studenti che ai corsi ci sono già.


Tutti questi gattoni sembrano aver respirato e fatto proprio lo spirito di questa città talmente grande da dare spazio a persone con credi e culture differenti garantendo una certa libertà d'azione e una capacità d'accoglienza marcata. 



Infine, il solito pischello di periferia, all'estremità ovest del quartiere Fatih, non lontano dalle mura bizantine.